Artemisia


STORIA DI UN "BRIGANTE BUONO"                ##    Torna a Schede

Questa è la storia di un uomo che, a causa di un'ingiustizia subita, fu preso da un'ira furibonda che lo portò ad uccidere colui che l'aveva privato di un bene che all'epoca era fonte di vita e di sostentamento: la terra.
La storia di Placido Rinaldi è stata raccontata da parenti prossimi, i quali hanno appreso la vicenda direttamente dal figlio Rinaldi Antonino nato a Castel di Lucio il 30/03/1889 e morto il 09/04/1962.


Placido Rinaldi nacque a Castel di Lucio il 19/11/1857, era un uomo forte e robusto che aveva una famiglia composta dalla moglie e dal figlioletto Antonino. Amava lavorare la terra da cui traeva sostentamento per se e per i suoi cari. Purtroppo un giorno una frana causò lo spostamento del confine che delimitava il suo fondo da quello del cognato il quale, invece di accordarsi con il familiare sulla ridelimitazione del fondo, incaricò un ingegnere di ridefinire il nuovo confine, non tenendo conto degli interessi del cognato, anzi i due sottrassero un pezzo considerevole del fondo di P.Rinaldi sradicando le colture che lo stesso aveva praticato.
Nonostante le innumerevoli pressioni di quasi tutti i familiari, Placido Rinaldi riusciva a mantenere la calma e a non affrontare il cognato. Questa vicenda succedeva nel mese di maggio, i due si incontrarono dopo cinque mesi in una contrada denominata "Lummiridda". Placido Rinaldi approfittò dell'occasione per rimproverare il cognato, ribadendo che il suo comportamento era stato vile e meschino, questi rispose dicendo che se non si fosse zittito, gli avrebbe tagliato la testa. L'ira che provocò quella minaccia fu incontenibile, e P.Rinaldi, afferrato un coltello che usava per la coltura delle piante, accoltellò il cognato e lo uccise. Nel frattempo era accorso un uomo che cominciò a gridare per cercare di fermare P. Rinaldi il quale, però, sembrava dare ascolto solamente alla sua ira e alla sete di vendetta.
Terminato l'immane gesto, raccontò tutta la vicenda a quell'uomo dicendogli di andare a riferire ciò che aveva visto alla moglie, alla cognata (moglie della vittima) e ai carabinieri.
Quel suo gesto lo costrinse ad allontanarsi per sempre dalla sua famiglia; ormai aveva perso la rispettabilità e l'onestà, e si unì a delle persone che vivevano al limite della giustizia; insieme saccheggiavano i palazzi e le proprietà dei ricchi possidenti e il ricavato serviva loro a diventare sempre più potenti, inoltre parte di esso serviva al sostentamento delle famiglie dei componenti del "Gruppo".
Era una località denominata "Macera", quella in cui P.Rinaldi nascondeva i denari destinati alla moglie e al figlio.

La donna, consapevole del segreto, si recava di tanto in tanto nel nascondiglio per attingere quanto le serviva per vivere.
Un triste giorno, però, scoprì con amarezza che nel nascondiglio non c'era più niente: evidentemente qualcuno l'aveva seguita, aveva scoperto il segreto e si era impossessato di quella ricchezza custodita nel nascondiglio.
Fu così che la donna rimase sola, con un figlio da crescere; del resto il marito, se fosse tornato a casa, sarebbe stato subito arrestato, e P.Rinaldi preferiva condurre uno stile di vita "poco raccomandabile, piuttosto che marcire in galera per il resto dei suoi giorni.
Nonostante gli innumerevoli saccheggi, non risulta in nessun atto che P. Rinaldi si fosse permesso di fare del male a persone innocenti; un episodio in particolare, rivela questa sua abitudine: Durante il saccheggio del castello di una Baronessa detta "Chiangi" di Catania, alcuni compagni, non contenti delle ricchezze di cui si stavano illegittimamente impossessando, volevano abusare di lei. P. Rinaldi, però, avendo capito le intenzioni dei compagni, si posizionò davanti la porta della stanza in cui era stata legata la Baronessa, e ordinò ai suoi compagni di stare ben lontani da quella camera.
La stessa Baronessa ringraziò il suo saccheggiatore e si complimentò per la sua onestà d'animo, non contenta, si informò se lui avesse famiglia, ed egli rispose di avere un figlio che lui, a causa di quel gesto scellerato, non avrebbe potuto crescere.
I due divennero amici a tal punto che lei, essendo sola, si offrì di crescere il bambino, il quale sicuramente avrebbe avuto una vita agiata, cosa che solamente la classe dei ricchi possidenti poteva offrire a quell'epoca.
La madre del piccolo Antonino Rinaldi fu informata di questa opportunità che poteva dare al proprio figlio, ma ella rifiutò l'offerta che, se fosse stata accettata, avrebbe significato la perdita dell'unico figlio; già quella del marito era stata molto dolorosa. Così si rassegnò, prima alla latitanza del proprio uomo e poi alla sua morte.
P.Rinaldi è stato freddato all'età di 35 anni il 16/09/1892 in uno scontro con i carabinieri di Pettineo, in una località denominata "Migaito".Il suo corpo giace nel Cimitero di Pettineo. 
Castel di Lucio, 03/12/2003

Castel di lucio

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